giovedì 23 gennaio 2020

NOVE MINUTI PER LA GLORIA


Testo di Stefano Balestra
Bergamo, 12 maggio 1985, stadio comunale, cielo plumbeo e piovoso. 81° minuto della partita, l’allenatore dice al suo portiere di riserva, dai cambiati che tocca a te a posto di Claudio. I protagonisti di questa scenetta, che una volta capitava di rado, sono, Osvaldo Bagnoli allenatore, Claudio Garella, “Garellik” e Sergio Spuri, portiere di riserva. La partita, la 29^ e penultima di campionato è Atalanta – Verona, e non è una partita qualsiasi, ma sarà destinata a rimanere negli annali del calcio, perché sarà quella che consacrerà la formazione scaligera campione d’Italia ’84-’85. Un gesto quello di Bagnoli, che Nando Martellini, uno dei principi dei telecronisti dell’epoca definì, nella telecronaca in differita del secondo tempo di una partita di calcio sulle reti Rai, come si usava allora una simpatica iniziativa dell’allenatore. Il nostro protagonista è ovviamente Sergio Spuri, fabrianese che al secondo anno a Verona fece il debutto in serie A nella gara più bella e significativa, vedeva rendersi concreto il suo sogno di bambino, campione d’Italia. E se Andy Warhol, visionario artista della pop-art, aveva profetizzato che ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità, beh Sergio, ci aveva messo appena nove minuti per la gloria, per la leggenda. Sì perché il calcio in Italia è la religione degli italiani e regala l’immortalità ai suoi eroi. E in questo momento Sergio allena il SassoferratoGenga in eccellenza, dove è stato ingaggiato a dicembre, per cercare di risollevarne le sorti. Lo incontriamo dopo lo sfortunato match con l’Anconitana, avaro nel risultato, ma non sicuramente nei ricordi. Infatti, proprio nel capoluogo di regione, Sergio mosse i primi passi. Dicevamo fabrianese, fisico da cestista, preferì il calcio mentre a Fabriano c’era l’escalation del Fabriano basket di Giuliano Guerrieri.
Nella città della carta lo allena Giuliano Fiorini, con un passato illustre anche in serie A, che “aveva un modo di vedere il calcio all’epoca, avanti a tutti e mi ha insegnato tante cose di questo mondo – dice Sergio-“. Cresce nelle giovanili dell'Anconitana, allenata da Mascalaito, “cui sarò sempre grato per avermi dato fiducia nonostante fossi giovanissimo” che lo fa esordire all'età di diciassette anni nel campionato di Serie C1 della stagione 1979-1980, dove i dorici retrocessero. Negli anni successivi diventa titolare, conquistando nel 1982 il campionato di C2 e il ritorno in terza serie. E grazie ai buoni uffici di Gigi Mascalaito, ex del Verona e suo allenatore come detto ad Ancona che nella stagione 1983-1984 è chiamato al Verona di Osvaldo Bagnoli a fare il secondo di Claudio Garella. “In realtà io dovevo andare al Milan – dice Sergio - a quei tempi la società trattava con la società”, poi grazie appunto al suo trainer in Ancona e ai suoi buoni uffici finì in riva all’Adige. Certo trovarsi davanti Garella, che sfodera prestazioni fenomenali una dietro l'altra, “Claudio non pensavo fosse così forte quando arrivai a Verona – afferma Sergio- ma alla fine portò letteralmente punti per lo scudetto grazie alle sue prestazioni monstre” e trovare spazi è in pratica impossibile se non alcuni scampoli.  Gioca solo le partite preliminari della Coppa Italia, dove gli scaligeri arrivano in finale, perdendola contro la Roma. L'annata seguente consacra i gialloblù campioni d'Italia, e il portiere fabrianese può fregiarsi del tricolore. Nella stagione 1986-1987 fa il vice con la maglia dell'Udinese, con le zebrette che retrocedono in serie B. Negli anni successivi veste le maglie della Jesina, del Chieti, dell'Aquila con cui vince il torneo di C2 e del Gualdo, prima di approdare alla Vis Pesaro dove nel 1995 vince il Campionato Nazionale Dilettanti. Chiude la sua carriera agonistica nel 1998 alla Maceratese, per poi intraprendere quella di allenatore e collaboratore tecnico, a Castelraimondo, Settempeda, Gualdo e Pergolese. Nelle ultime quattro stagioni ha collaborato con mister Marco Alessandrini nello staff tecnico di Fano e Recanatese.
Com’è l’avventura a Sassoferrato?
“Sapevo che fosse dura, conoscevo la situazione ed ero abbastanza preparato, ma ho accettato volentieri, il campionato è difficile, molto fisico, alcuni campi sono difficili anche per la situazione ambientale”.
Il Verona, oggi potrebbe esistere una favola come quella?
“Non credo sia possibile, l’aspetto economico oggi è fondamentale per una società. Un Verona non potrebbe mai competere con la Juve o il Barcellona, lo strapotere economico derivante anche dagli introiti della Champions, della pubblicità, dei diritti tv è preponderante, la stessa Atalanta, che in qualche maniera ricorda quel Verona, difficilmente potrà competere per lo scudetto”.
In quel campionato c’erano Maradona, Rummenigge, Zico, Socrates, Falcao, Passarella, Platini, Boniek, Paolo Rossi, era il campionato più bello del mondo, eppure vinse il Verona…
“Eravamo un gruppo forte e coeso, un ambiente familiare, alcuni giocavano insieme da qualche anno, poi arrivavano giocatori che altre società avevano scartato e mister Bagnoli li rigenerava letteralmente, Briegel ed Elkjiaer-Larsen, li vide in tv e li prese, i tasselli perfetti per quella squadra. Bagnoli, a differenza degli allenatori di oggi, forse anche per la sua umiltà era un padre di famiglia, una persona brava e onesta che ti diceva in faccia, a volte anche brutalmente quello che pensava di te, anche le cose sgradevoli. Ancora oggi, ci teniamo in contatto grazie a Whatsapp e ci ritroviamo spesso e volentieri per le ricorrenze e festeggiamo. A Verona siamo quelli dello scudetto del 1985 e siamo rimasti nel cuore della gente, ancora oggi”.
Il calcio è stato il tuo mestiere. Se dovessi fare un bilancio.
“Tanti dolori fisici, tantissimi magoni, però con poche soddisfazioni che ti ripagano, sono il sale dello sport, del calcio, della vita. Perché alla fine se non sei un calciatore super affermato, un fenomeno, il calcio è fatto più da delusioni. Alla fine quelle soddisfazioni come aver giocato in serie A, lo scudetto, la Coppa dei Campioni, ma anche aver vinto il campionato di C2 con l’Ancona che nessuno ricorda, ma che per me è stato il trampolino di lancio, ti ripagano alla grande. Oggi il calcio è molto veloce, più atletico, più fisico, ma credo che la qualità fosse stata superiore allora, a tutti i livelli. Se avessi giocato in questa epoca, avrei avuto sicuramente molte più presenze, allora i titolari erano inamovibili e il “dodicesimo”, ammuffiva in panchina. Certo oggi grazie anche alla tv ci sarebbe stata più visibilità, ma anche molta pressione, sempre sotto i riflettori dei media e dei social. Il calcio è cambiato tanto, ci sono più soldi, forse, anzi sicuramente avrei guadagnato molto di più, ma comunque sono soddisfatto, contento di quello che ho fatto”.
Il portiere oggi?
“Una volta quella italiana era una vera scuola ad alto livello, l’ultimo grande portiere per me è stato Buffon, certo oggi ci sono Donnarumma, Sirigu e Handanovic… ma è straniero, il miglior portiere del mondo Allison è brasiliano, una cosa impensabile una volta, che una scuola in grado di esprimere funamboli e attaccanti di vaglia, avesse anche il portiere più bravo del pianeta”.






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