giovedì 19 novembre 2020

DI PADRE IN FIGLIO

Testo di STEFANO BALESTRA


E da una scatola, riemergono lettere, appunti, documenti, fotografie, articoli, in ogni caso carta che in controluce racconta la storia...

Erano i magici anni ‘90 dello sport fabrianese, ricchi di soddisfazioni. C'era il Fabriano Basket che in A1 e A2, portava il nome della città della carta in giro per tutta Italia con orgoglio e passione, ma c'erano due ragazzi che portavano il nome di Fabriano in giro per il mondo. Uno era Francesco Casoli che con la barca Gulliver, vinse il giro del mondo a vela, un traguardo notevole, l'altro ragazzo era Andrea Merloni che con la sua passione per le moto portò Fabriano su tutti i circuiti del mondiale Superbike di moto. Quanti fiumi d’inchiostro e rulli per la macchina per scrivere ho piacevolmente consumato per narrare le loro gesta e avventure. Conobbi Andrea a inizio degli anni ’90 quando anche lui correva in pista nel campionato italiano sport production, insieme al fabrianese Luciano Morri, ma anche Liverani che regalò al team un paio di titoli italiani super sport, Pallizzi, Rozza, tutti sotto la bandiera del Gattolone Racing Team, nome simpatico ripreso però da quello del motoscafo di famiglia. Una carriera agonistica su pista durata fino al 1992, quando smise, su richiesta della famiglia, dopo la rovinosa caduta di Misano che gli costò due ematomi nella scatola cranica. Una passione che gli aveva trasmesso, come mi confessò suo papà Vittorio, grosso appassionato di motori. Così, smessa inevitabilmente la tuta di pelle da pilota, si “rassegnò” a diventare il manager del Gattolone Racing Team e le soddisfazioni non furono poche.

Ma si capiva a pelle che la sua passione, anche se costosa, non era il vezzo di un figlio di papà, la svogliatura di chi sapeva di avere alle spalle qualcuno pronto a staccare l’assegno in caso di bisogno. Non assomigliava al prototipo del giovane rampollo insomma. In un’intervista, che ancora ricordo con piacere, accolto nella casa paterna di Fabriano, ora chiusa e in vendita, con cordialità quasi amicale, mi disse che suo padre gli diceva di terminare gli studi con la laurea o di andare a lavorare. Tanti i chilometri macinati durante l’inverno e la nebbia mangiata per andare a visitare gli sponsor che gli avrebbero permesso di partecipare al mondiale superbike. Un self-made man del motociclismo che perseguiva una sorta di “ modello marchigiano” di sviluppo tanto caro ai suoi avi, applicato al motociclismo, dove nulla era lasciato al caso, anche l’immagine, con una hospitality importante curata nei dettagli e molti personaggi del mondo delle corse, ma anche del jet-set si ritrovavano.  Un sognatore, era Andrea Merloni, che aveva però un approccio umile di chi vuole imparare a farsi largo in un mondo che aveva sempre vissuto fino a quel momento solo come appassionato o quasi. Una delle sue più grandi soddisfazioni credo che sia rimasta, quella di aver portato nella stagione d’oro della Superbike, a vestire i colori del Gattolone, Pierfrancesco Chili, oggi alle prese con il Parkinson, dopo un periodo burrascoso, coinciso con il carcere per accuse dalle quali fu prosciolto, che lo avevano allontanato dal mondo delle due ruote. A Monza, nel 1995, nel Gp di San Marino, la prima vittoria di “Frankie” Chili, con la Ducati 916 del Gattolone, alla quale poi se ne sarebbero aggiunte altre nelle stagioni successive.
(Liverani, Merloni e Chili)

Erano i tempi in cui la Indesit Company viaggiava alla grande nel mondo del “bianco” ed il Gattolone non era da meno.  Indimenticabili per me, rimarranno le immagini nelle quali Andrea Merloni, spiegava con amore a suo padre Vittorio sulla pista di Misano Adriatico i segreti delle moto e di qual mondo fantastico, che vedeva suo figlio tra i protagonisti. Una persona che ha costruito una vita di successo cercando di restare con i piedi per terra. Tentò di trasformare la passione per le due moto in un business, tanto da provare a rivitalizzare, nel 1996, lo storico marchio pesarese della Benellisenza riuscirvi però fino in fondo.

mercoledì 4 novembre 2020

A NOVEMBRE DUE FESTIVITA' IN BUSTA PAGA



Oggi 4 novembre di questo complicato, difficile 2020, flagellato dalla pandemia, giorno dell'Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate è una festività della Repubblica Italiana, in ricordo del 4 novembre 1918, celebrandosi l'anniversario della fine della prima guerra mondiale per l'Italia e continua a essere considerato giorno non festivo, dalla legge 54/77 che lo ha soppresso dalle giornate festive, per il quale però spetta comunque ai lavoratori dipendenti la prestazione economica prevista per le festività cadenti di domenica, infatti la sua celebrazione ha luogo nella prima domenica di novembre, e come sopra detto il lavoratore beneficerà del trattamento previsto per le festività che coincidono con la domenica e quindi al di là della celebrazione, avrà riflessi economici sulle buste paga dei lavoratori. Se consideriamo che anche il recente 1° Novembre, festività di Ognisanti, non sfugge a questa regola essendo caduto di domenica, se da un lato ha privato i lavoratori della possibilità di godere di un giorno di riposo in più, d'altro canto, regalerà un giorno in più di retribuzione, che saranno appunto due se consideriamo anche la festività del 4 novembre. 

La maggioranza dei Ccnl ha previsto la corresponsione ai dipendenti di un trattamento economico aggiuntivo corrispondente:

nel sistema di paga mensilizzato: ad 1/26 della paga mensile (Cass., sez. lav. n. 14643/2006);

nel sistema di paga orario: il trattamento retributivo corrispondente ad 1/6 dell’orario settimanale (Cass., sez. lav. n. 10309/ 2002).;

una giornata aggiuntiva, la cui retribuzione è pari a 6,66 ore, pari alla risultante di 173 (le ore medie pagate mensilmente) diviso 26 (che sono le giornate medie considerate al mese).

Una curiosità, nel 2011, in occasione della neo istituita festa del 150° anniversario dell'Unità d'Italia del 17 marzo, la festività venne utilizzata per compensarne gli effetti economici e la retribuzione venne anticipata ai lavoratori da novembre a marzo.

martedì 3 novembre 2020

NESSUNO MUORE SULLA TERRA....




“Nessuno muore sulla terra finche vive nella memoria di chi resta”. Questo adagio è quanto mai vero e ognuno porta nel proprio cuore il ricordo dei propri cari. Ma essere a pochi metri dai tuoi cari e non poter portare a loro un saluto o mettergli un fiore è qualcosa di veramente brutto e triste. Dover restare dietro al cancello chiuso con un lucchetto e non sapere quando poterli salutare è dura, soprattutto se dietro quelle sbarre c'è gran parte della mia famiglia, mia sorella, mia madre, i miei nonni materni e mio zio, per me come un secondo padre. Per altro, senza neanche un cartello, se non quello apposto negli ultimi giorni che cita l’ordinanza sindacale, che spieghi quanto accaduto a coloro che magari sono lontani, e nel venire a trovare i propri cari, si sono trovati il cancello inspiegabilmente sprangato, e quello di una volenterosa signora che ha cercato di creare un comitato di protesta, di coloro che hanno li ad eterno riposo i proprio affetti, per portare all’attenzione il problema. E tutto questo da alcuni mesi, esattamente dallo scorso giugno, senza sapere quando potrà accadere, neanche per la ricorrenza dei defunti. Questo accade in una parte del Cimitero di Santa Maria, il settore 8, dove sono ospitate oltre ottocento salme, ma i lavori di manutenzione, non sono mai cominciati, anche se l’assessore ai lavori pubblici del Comune di Fabriano dichiara negli ultimi giorni, di aver trovato i fondi e che i lavori verranno ultimati a primavera prossima. Da dietro l’arrugginito cancello e alla ringhiera, si scorge il degrado dei manufatti di cemento, dovuto alle infiltrazioni dell’acqua che ha determinato l’inagibilità e il senso di abbandono, una noncuranza proprio verso chi non c’è più e per chi resta a piangere e a ricordare. 

lunedì 2 novembre 2020

"DIECI"


Avevo 12 o 13 anni, facevo quindi la seconda o la terza media alle scuole Fermi di Fabriano, sezione D, non ricordo di preciso. Mi piaceva molto leggere, mi piaceva anche scrivere. Un giorno la professoressa di inglese ci chiese di fare un piccolo componimento in classe, in lingua inglese e allora io mi misi a scrivere e la mia fantasia, mi fece raccontare un posto che avrei voluto vedere, lo stadio di Twickenham a Londra, uno dei templi del rugby in Inghilterra e non solo, che potevo solo immaginare sognando ad occhi aperti, anche perché Internet non era ancora stato inventato, un luogo per me affascinante, che avevo solo intravisto su qualche giornale o in quelli che una volta si definivano riflessi filmati a domenica sprint o alla domenica sportiva. Una volta riconsegnato il componimento, dopo qualche giorno la professoressa ce lo restituì e quando vidi in calce al compito: 10, scritto e sottolineato in rosso, quasi mi venne da svenire e la prof.  mi chiese, forse perché sorpresa della fantasia fuori dagli schemi di un adolescente, se quello fosse stato  farina del mio sacco e io gli risposi candidamente con il fare di un adolescente alle prime armi, si, professoressa questo è un posto che mi piacerebbe vedere moltissimo e da lì mi innamorai ancora di più dello sport ma mi innamorai ancora di più del dello scrivere, del giornale e da lì forse comincia la mia piccola carriera di giornalista. I miei avrebbero voluto che avessi intrapreso lo studio della lingua inglese, ma mi rendevo conto che le possibilità economiche non c'erano, per cui non se ne fece nulla e oggi forse se avessi dato retta a loro probabilmente la mia vita sarebbe stata differente.

venerdì 30 ottobre 2020

FRANCESCO MERLONI TORNA TRA I LAVORATORI DI GENGA

 Testo di STEFANO BALESTRA

Proprio mentre il Coronavirus torna a ruggire e a fare paura, e torna l’incubo contagio, con il rischio di un nuovo lockdown, una buona notizia, che conferma come dal subdolo ed invisibile nemico si può guarire. Francesco Merloni, 95 anni, fondatore  e presidente onorario della Ariston Thermo Group si è negativizzato al Covid 19, dopo che si era ammalato al rientro da una vacanza nella casa di famiglia in Sardegna. Positivi anche altri familiari che erano con lui. Il 27 agosto, il ricovero all’ospedale Torrette di Ancona, in via precauzionale, data l’età e la persistente febbre. In ospedale ha anche trascorso il giorno del suo 95/o compleanno, il 17 settembre. Dieci giorni dopo era stato dimesso ed era tornato a casa, ancora positivo al tampone. 
Qualche giorno fa, la conferma dell’avvenuta negativizzazione con il doppio test. Ad accompagnarlo in questi difficili giorni l’affetto di tantissimi, tra i quali i suoi dipendenti, con i quali si è instaurato un rapporto biunivoco di stima, rispetto e affetto, che va oltre il legame lavorativo. E così, c’era una voglia “matta” di rincontrarsi da entrambe le parti. Qualche giorno fa, quando Francesco è potuto uscire di nuovo, è voluto andare nello stabilimento di Genga, dove le maestranze gli sono stati vicine con messaggi di affetto. E ad accoglierlo a sorpresa con tanto di striscione, i delegati sindacali Filippo Siciliano, Paolo Olivanti e Vincenzo Capitanelli, unitamente al direttore del plant Claudio Belingheri e la responsabile delle risorse umane Valentina Secchi, a nome di tutti i colleghi. Inevitabile il momento di stupore e di commozione da entrambe le parti, qualche sguardo qualche parola per riannodare un rapporto sempre vivido, ma perché come diceva il poeta inglese John Donne: “nessun uomo è un’isola”, ed è proprio nei momenti più bui e difficili della nostra esistenza che il calore e l’affetto degli altri ci da la spinta per superarli.

 

sabato 26 settembre 2020

LA GRANDE SCOSSA..... IL TERRORE IN DIRETTA.


Erano le 11,41 di un caldissimo 26 settembre 1997 e la notte era passata con la paura della scossa delle 2,33.... di 5,8° . E quando nessuno pensava al peggio ecco la seconda scossa, ancora più forte e devastante....6,1° gradi se la memoria non mi tradisce. Abitavo ancora al centro di Fabriano, in Via Loreti 16, in prossimità delle allora scuole elementari Allegretto Nuzi.... Stavo preparandomi il pranzo, perché allora come oggi facevo il turno 14/22. Il tempo di uscire di casa e cogliere immagini che sono e credo lo saranno impresse per sempre nella mia memoria....Pali della luce che ondeggiavano come fuscelli al vento, così come le macchine....Il rumore sinistro delle case che si spaccavano, ed anche la mia parrocchia di allora, San Biagio, riportò danni gravissimi (foto), ed il cui crollo provocò la morte della mamma di un amico di infanzia, la signora Agnese Ciccacci, travolta dal cornicione crollato, ma soprattutto le urla dei bambini subito evacuati dalla scuola che piangevano e le urla ed i pianti, altrettanto sconvolgenti dei genitori accorsi per porli in salvo... sono i ricordi immarcescibili di allora...Come sempre si dice la migliore medicina per l'anima è il tempo, in grado di curare tutte le ferite, ma ci sono alcune cicatrici che rimangono li per sempre senza mai rimarginarsi.....

giovedì 23 gennaio 2020

NOVE MINUTI PER LA GLORIA


Testo di Stefano Balestra
Bergamo, 12 maggio 1985, stadio comunale, cielo plumbeo e piovoso. 81° minuto della partita, l’allenatore dice al suo portiere di riserva, dai cambiati che tocca a te a posto di Claudio. I protagonisti di questa scenetta, che una volta capitava di rado, sono, Osvaldo Bagnoli allenatore, Claudio Garella, “Garellik” e Sergio Spuri, portiere di riserva. La partita, la 29^ e penultima di campionato è Atalanta – Verona, e non è una partita qualsiasi, ma sarà destinata a rimanere negli annali del calcio, perché sarà quella che consacrerà la formazione scaligera campione d’Italia ’84-’85. Un gesto quello di Bagnoli, che Nando Martellini, uno dei principi dei telecronisti dell’epoca definì, nella telecronaca in differita del secondo tempo di una partita di calcio sulle reti Rai, come si usava allora una simpatica iniziativa dell’allenatore. Il nostro protagonista è ovviamente Sergio Spuri, fabrianese che al secondo anno a Verona fece il debutto in serie A nella gara più bella e significativa, vedeva rendersi concreto il suo sogno di bambino, campione d’Italia. E se Andy Warhol, visionario artista della pop-art, aveva profetizzato che ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità, beh Sergio, ci aveva messo appena nove minuti per la gloria, per la leggenda. Sì perché il calcio in Italia è la religione degli italiani e regala l’immortalità ai suoi eroi. E in questo momento Sergio allena il SassoferratoGenga in eccellenza, dove è stato ingaggiato a dicembre, per cercare di risollevarne le sorti. Lo incontriamo dopo lo sfortunato match con l’Anconitana, avaro nel risultato, ma non sicuramente nei ricordi. Infatti, proprio nel capoluogo di regione, Sergio mosse i primi passi. Dicevamo fabrianese, fisico da cestista, preferì il calcio mentre a Fabriano c’era l’escalation del Fabriano basket di Giuliano Guerrieri.
Nella città della carta lo allena Giuliano Fiorini, con un passato illustre anche in serie A, che “aveva un modo di vedere il calcio all’epoca, avanti a tutti e mi ha insegnato tante cose di questo mondo – dice Sergio-“. Cresce nelle giovanili dell'Anconitana, allenata da Mascalaito, “cui sarò sempre grato per avermi dato fiducia nonostante fossi giovanissimo” che lo fa esordire all'età di diciassette anni nel campionato di Serie C1 della stagione 1979-1980, dove i dorici retrocessero. Negli anni successivi diventa titolare, conquistando nel 1982 il campionato di C2 e il ritorno in terza serie. E grazie ai buoni uffici di Gigi Mascalaito, ex del Verona e suo allenatore come detto ad Ancona che nella stagione 1983-1984 è chiamato al Verona di Osvaldo Bagnoli a fare il secondo di Claudio Garella. “In realtà io dovevo andare al Milan – dice Sergio - a quei tempi la società trattava con la società”, poi grazie appunto al suo trainer in Ancona e ai suoi buoni uffici finì in riva all’Adige. Certo trovarsi davanti Garella, che sfodera prestazioni fenomenali una dietro l'altra, “Claudio non pensavo fosse così forte quando arrivai a Verona – afferma Sergio- ma alla fine portò letteralmente punti per lo scudetto grazie alle sue prestazioni monstre” e trovare spazi è in pratica impossibile se non alcuni scampoli.  Gioca solo le partite preliminari della Coppa Italia, dove gli scaligeri arrivano in finale, perdendola contro la Roma. L'annata seguente consacra i gialloblù campioni d'Italia, e il portiere fabrianese può fregiarsi del tricolore. Nella stagione 1986-1987 fa il vice con la maglia dell'Udinese, con le zebrette che retrocedono in serie B. Negli anni successivi veste le maglie della Jesina, del Chieti, dell'Aquila con cui vince il torneo di C2 e del Gualdo, prima di approdare alla Vis Pesaro dove nel 1995 vince il Campionato Nazionale Dilettanti. Chiude la sua carriera agonistica nel 1998 alla Maceratese, per poi intraprendere quella di allenatore e collaboratore tecnico, a Castelraimondo, Settempeda, Gualdo e Pergolese. Nelle ultime quattro stagioni ha collaborato con mister Marco Alessandrini nello staff tecnico di Fano e Recanatese.
Com’è l’avventura a Sassoferrato?
“Sapevo che fosse dura, conoscevo la situazione ed ero abbastanza preparato, ma ho accettato volentieri, il campionato è difficile, molto fisico, alcuni campi sono difficili anche per la situazione ambientale”.
Il Verona, oggi potrebbe esistere una favola come quella?
“Non credo sia possibile, l’aspetto economico oggi è fondamentale per una società. Un Verona non potrebbe mai competere con la Juve o il Barcellona, lo strapotere economico derivante anche dagli introiti della Champions, della pubblicità, dei diritti tv è preponderante, la stessa Atalanta, che in qualche maniera ricorda quel Verona, difficilmente potrà competere per lo scudetto”.
In quel campionato c’erano Maradona, Rummenigge, Zico, Socrates, Falcao, Passarella, Platini, Boniek, Paolo Rossi, era il campionato più bello del mondo, eppure vinse il Verona…
“Eravamo un gruppo forte e coeso, un ambiente familiare, alcuni giocavano insieme da qualche anno, poi arrivavano giocatori che altre società avevano scartato e mister Bagnoli li rigenerava letteralmente, Briegel ed Elkjiaer-Larsen, li vide in tv e li prese, i tasselli perfetti per quella squadra. Bagnoli, a differenza degli allenatori di oggi, forse anche per la sua umiltà era un padre di famiglia, una persona brava e onesta che ti diceva in faccia, a volte anche brutalmente quello che pensava di te, anche le cose sgradevoli. Ancora oggi, ci teniamo in contatto grazie a Whatsapp e ci ritroviamo spesso e volentieri per le ricorrenze e festeggiamo. A Verona siamo quelli dello scudetto del 1985 e siamo rimasti nel cuore della gente, ancora oggi”.
Il calcio è stato il tuo mestiere. Se dovessi fare un bilancio.
“Tanti dolori fisici, tantissimi magoni, però con poche soddisfazioni che ti ripagano, sono il sale dello sport, del calcio, della vita. Perché alla fine se non sei un calciatore super affermato, un fenomeno, il calcio è fatto più da delusioni. Alla fine quelle soddisfazioni come aver giocato in serie A, lo scudetto, la Coppa dei Campioni, ma anche aver vinto il campionato di C2 con l’Ancona che nessuno ricorda, ma che per me è stato il trampolino di lancio, ti ripagano alla grande. Oggi il calcio è molto veloce, più atletico, più fisico, ma credo che la qualità fosse stata superiore allora, a tutti i livelli. Se avessi giocato in questa epoca, avrei avuto sicuramente molte più presenze, allora i titolari erano inamovibili e il “dodicesimo”, ammuffiva in panchina. Certo oggi grazie anche alla tv ci sarebbe stata più visibilità, ma anche molta pressione, sempre sotto i riflettori dei media e dei social. Il calcio è cambiato tanto, ci sono più soldi, forse, anzi sicuramente avrei guadagnato molto di più, ma comunque sono soddisfatto, contento di quello che ho fatto”.
Il portiere oggi?
“Una volta quella italiana era una vera scuola ad alto livello, l’ultimo grande portiere per me è stato Buffon, certo oggi ci sono Donnarumma, Sirigu e Handanovic… ma è straniero, il miglior portiere del mondo Allison è brasiliano, una cosa impensabile una volta, che una scuola in grado di esprimere funamboli e attaccanti di vaglia, avesse anche il portiere più bravo del pianeta”.






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