Oggi viviamo nell’era dei social, facciamo parte
del suo popolo, quello delle tastiere, dove gli "amici" ti regalano
qualche like. Il web è un proiettore istantaneo di emozioni, ebbene, in questa
epoca fragile, dell'iperconnessione h24 tramite i nostri device tecnologici, la
solitudine è una malattia o una fortuna? Una volta era condizione esistenziale,
oggi forse è considerata una malattia. Viviamo l’epoca dell’esibizionismo
esistenziale dei social, dove la nostra vita è un album a cielo aperto come un
fotoromanzo. È diventato il nostro sfogatoio. Il nostro vero "amico"
a volte l’unico, è il social, unico mezzo di relazione in una società sempre
più liquida e individualista, che ci illude che la tecnologia possa portarci
più relazioni, quando in realtà c’è la tendenza all’isolamento,
all’insicurezza. Però forse oggi quell’accezione negativa, può essere
rivalutata. In fin dei conti oggi siamo sempre di più "costretti" a
comunicare, quel non essere accettati dagli altri perché non inclusi, che una
volta era visto in chiave negativa, può essere un valore positivo in quanto
separandosi dagli altri e dal mondo delle nostre abitudini quotidiane, può
giocare a ritrovare la calma interiore, la pace del nostro animo, un luogo
prezioso dove ritrovare la nostra identità, così come ad esempio cantava il
Petrarca nel 1300.
L’oblio sarebbe dunque un toccasana per sfuggire al logorio della
quotidianità e della vita moderna, dominata dalla dittatura dell’algocrazia.
Mi ripropongo di farlo, non appena avrò finito di mandare l’ultimo
tweet, caricare le foto su Instagram e scrivere il mio ultimo post sul blog e
su Facebook...
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