domenica 7 ottobre 2018

IL VALORE DELLE COSE.. PAROLE DAL CUORE IN LIBERTA’…


“Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo…” recitava così il grande Adriano Olivetti, imprenditore illuminato, protagonista della storia italiana del dopoguerra, e uno dei primi a teorizzare che il successo di un’impresa passa dall’equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, benessere materiale e spirituale del lavoratore. Ma a me  viene invece da dire, in maniera più prosaica e banale che: “il valore delle persone, dei sentimenti, delle cose, lo si capisce solo quando si rischia di perderli o si perdono..”
Ed il lavoro, almeno come noi umani lo definiamo attualmente, possa raccogliere tutti insieme, identità, dignità umana, che sono parti tra essi integrati. Ma nei nostri tempi moderni, nella nostra società liquida, fatta di precarietà, un posto di lavoro è una certezza nella nostra quotidianità, e rende più leggera la triste realtà con cui ci si trova a misurarsi. Ma per far scomparire l’orizzonte, per togliere la serenità, per far vagare il nostro sguardo nel vuoto e rendere le nostre giornate monotone, non basta solo perderlo il lavoro, oggi ai tempi della globalizzazione quasi un evento fisiologico, in un sistema sociale inumano, violento, anche la paura che ciò avvenga e con essa la paura di sprofondare nelle tenebre…
Se poi ti trovi ad avere cinquanta anni o dintorni, età in cui si è ancora troppo giovani per andare in pensione, ma a volte si è troppo vecchi e obsoleti per trovare un’altra occupazione, e inoltre non avere la tua famiglia che ti fa da paracadute sociale, ecco che le paure del futuro crescono in maniera esponenziale, fino a spingerti nell’abisso della disperazione.  Anche perché, la cassa integrazione, comunque non è come percepire lo stipendio per intero, fa male alle tasche e ai portafogli, inoltre l’ente di previdenza ha comunque i suoi tempi per l’erogazione dell’indennità, a volte rendendo difficile il budget mensile e far quadrare i conti. Gli effetti psicologici della precarietà, anche se è stop and go, ossia lavoro e cassa, si fanno pesare alla lunga, mese dopo mese nel limbo dell’incertezza e ad attenderti il fantasma della depressione. All’inizio non percepisci il cambiamento, ti sembra di essere in ferie, ma il cambiamento avviene lentamente..
Ma se all’interno del posto di lavoro fai il sindacalista e vivi la tua attività in fabbrica come una missione, come me, il rischio di “burn out” è forte, fortissimo, investito da una parte dallo tsunami di emozioni sopra descritte e dall’altra dalla “responsabilità” di dover dare ai tuoi colleghi, ai tuoi compagni di lavoro spiegazioni, chiarimenti sull’andamento e speranze per il futuro, quelle speranze, che sono anche le tue, perché quello è il tuo posto di lavoro ed in esso è racchiuso anche il tuo futuro…
A volte una vera e propria tempesta esistenziale ti travolge e i sentimenti di frustrazione, scoraggiamento, depressione ti assalgono, perché è come se perdessi dignità, autonomia, certezze, quelle relazioni costruite in tanti anni di lavoro. Perdi anche la gioia di alzarsi al mattino per andare in fabbrica, dico gioia, perché solo quando si perde qualcosa se ne apprezza il valore….

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