( da Il Sole 24 ore)
Si è spento ieri 1° ottobre nel suo letto di Fabriano all’età di novantanove anni – pianto dalla famiglia, rimpianto dalla sua comunità e amato dagli amici imprenditori – Francesco Merloni. Il figlio di Aristide, il fondatore della dinastia Merloni che ha letteralmente inventato il mito della Terza Italia in quelle Marche lontane da tutto e capaci di costruire da zero l’industrializzazione del Boom Economico, è stato prima di ogni cosa un uomo di comunità. Imprenditore – con la specializzazione del ramo paterno lasciatogli dal padre trasformato nell’azienda modello di Ariston – ha scelto di unificare la meccanica e l’agricoltura, favorendo il mantenimento della radice contadina dei suoi operai, che l’economista Giorgio Fuà chiamava “metalmezzadri”.
In questo, ha perfettamente seguito la lezione di Aristide, il padre che è stato un piccolo Titano dell’economia italiana, ancora oggi avvolto dal mistero per la sua formidabile abilità industriale e commerciale e ricordato per la grande umanità e la spinta solidaristica. Visionario, Francesco Merloni ha avuto la forza – a differenza di tanti altri imprenditori di seconda generazione – di attraversare indenne la globalizzazione degli anni Novanta, anche grazie a un meccanismo di delega intra-famigliare e manageriale non soltanto formalistico, ma sostanziale.
Uomo di passione politica, non ha mai nascosto la sua visione di cattolico progressista, desideroso di tenere insieme la dottrina sociale della Chiesa e il profitto delle aziende e in grado, nonostante le mille contraddizioni del nostro tempo, di cogliere appieno la forza del capitalismo dal volto umano che segna – in mille province e in mille territori – il modello italiano.
Niente di paternalistico. Semmai, l’idea che sia possibile conciliare il borgo e il mondo, i luoghi distanti dalle metropoli e il potere istituzionale che, nelle grandi città, risiede. Non a caso, Francesco Merloni ha scelto di accettare l’incarico di Giuliano Amato, nella sua prima esperienza di governo, e di Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Consiglio, quale ministro dei Lavori pubblici, negli anni cruciali compresi fra il 1992 e il 1994, quando l’Italia – fra Mani Pulite, crollo della Prima repubblica, crisi di finanza nazionale, attentati della criminalità organizzata – è stata più volte sull’orlo del baratro.
Ingegnere industriale, parlamentare nella Democrazia Cristiana negli anni Settanta (sei legislature), imprenditore e autore a oltre novant’anni di un bellissimo libro che è anche un testamento spirituale come “Il secolo dello sviluppo. Internazionalizzazione e coscienza territoriale”.
La cosa che più colpiva amici e parenti in Francesco Merloni era la capacità di conciliare la visione politica e le piccole gioie quotidiane, la lettura dei saggi più ponderosi e la chiacchierata con gli amici che hanno fatto, da Fabriano, meno strada di lui, ma che non sono mai usciti dal suo cuore e dalla sua mente. Una persona determinata, ma buona, consapevole – con la classica ironia e autoironia marchigiana – che la durezza e la cattiveria alla fine stancano e stufano. Se l’Italia ha sperimentato la Grande Bellezza del Boom Economico, la lunga transizione degli anni Settanta e Ottanta e la salvezza – nonostante tutto – dal rischio del crollo dei primi anni Novanta, si deve anche e soprattutto a persone come Francesco Merloni. Mancherà a tutti.
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