“Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per
molti tormento, tormento di non averlo…” recitava così il grande Adriano
Olivetti, imprenditore illuminato, protagonista della storia italiana del
dopoguerra, e uno dei primi a teorizzare che il successo di un’impresa passa
dall’equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, benessere materiale e
spirituale del lavoratore. Ma a me viene
invece da dire, in maniera più prosaica e banale che: “il valore delle persone,
dei sentimenti, delle cose, lo si capisce solo quando si rischia di perderli o
si perdono..”
Ed il lavoro, almeno come noi umani lo definiamo attualmente,
possa raccogliere tutti insieme, identità, dignità umana, che sono parti tra essi integrati. Ma nei nostri tempi moderni, nella nostra società liquida, fatta di
precarietà, un posto di lavoro è una certezza nella nostra quotidianità, e
rende più leggera la triste realtà con cui ci si trova a misurarsi. Ma per far
scomparire l’orizzonte, per togliere la serenità, per far vagare il nostro
sguardo nel vuoto e rendere le nostre giornate monotone, non basta solo
perderlo il lavoro, oggi ai tempi della globalizzazione quasi un evento
fisiologico, in un sistema sociale inumano, violento, anche la paura che ciò
avvenga e con essa la paura di sprofondare nelle tenebre…
Se poi ti trovi ad avere cinquanta anni o dintorni, età in
cui si è ancora troppo giovani per andare in pensione, ma a volte si è troppo
vecchi e obsoleti per trovare un’altra occupazione, e inoltre non avere la tua
famiglia che ti fa da paracadute sociale, ecco che le paure del futuro crescono
in maniera esponenziale, fino a spingerti nell’abisso della disperazione. Anche perché, la cassa integrazione, comunque
non è come percepire lo stipendio per intero, fa male alle tasche e ai
portafogli, inoltre l’ente di previdenza ha comunque i suoi tempi per
l’erogazione dell’indennità, a volte rendendo difficile il budget mensile e far
quadrare i conti. Gli effetti psicologici della precarietà, anche se è stop and
go, ossia lavoro e cassa, si fanno pesare alla lunga, mese dopo mese nel limbo
dell’incertezza e ad attenderti il fantasma della depressione. All’inizio non
percepisci il cambiamento, ti sembra di essere in ferie, ma il cambiamento
avviene lentamente..
Ma se all’interno del posto di lavoro fai il sindacalista e
vivi la tua attività in fabbrica come una missione, come me, il rischio di
“burn out” è forte, fortissimo, investito da una parte dallo tsunami di
emozioni sopra descritte e dall’altra dalla “responsabilità” di dover dare ai
tuoi colleghi, ai tuoi compagni di lavoro spiegazioni, chiarimenti
sull’andamento e speranze per il futuro, quelle speranze, che sono anche le
tue, perché quello è il tuo posto di lavoro ed in esso è racchiuso anche il tuo
futuro…
A volte una vera e propria tempesta esistenziale ti travolge
e i sentimenti di frustrazione, scoraggiamento, depressione ti assalgono,
perché è come se perdessi dignità, autonomia, certezze, quelle relazioni
costruite in tanti anni di lavoro. Perdi anche la gioia di alzarsi al mattino
per andare in fabbrica, dico gioia, perché solo quando si perde qualcosa se ne
apprezza il valore….